L'articolo propone una ipotesi di lettura di un luogo disputato della Commedia (S'alcun v'e giusto ... giusti son due ma non sono intesi) di Inferno VI, recuperando lo spessore dell'evocazione dantesca alla luce della autorita biblica (nel Nuovo Testamento l'unico giusto possibile e Gesu) e alla luce della filosofia politica e giuridica medievale (nel commento di Tommaso all'Etica Nicomachea di Aristotele il giusto politico discende dalla giustizia ed e declinato nei due giusti: quello naturale e quello legale. Nel proporre tale lettura si evidenzia come la tradizione di commento antica alla Commedia non sia sempre recettiva del portato dantesco, ma rappresenti piuttosto il filtro che presiede alla generazione di una interpretazione canonica del testo di Dante, come gia ha osservato Baranski.
et quello huomo ch'e privato del sentimento, maggiormente e privato dello intellecto et cognitione spirituale.
(L'ultima forma dell'Ottimo, Par. x, Proemio)
Dante, sotto la spinta del metodo della conciliatio contrariorum, e capace di realizzare una sintesi che e anche modello di integrazione delle istanze della cultura letteraria dell'Europa medievale in quanto attinge, e non soltanto nella Monarchia, a tradizioni diverse proponendo una visione integrale che concilia ragione e fede, che contempla le categorie del diritto e della teologia: il giusto politico dell' Etica Nicomachea e la filigrana sottesa ai due giusti di Inferno vi, 73, cioe quello naturale e quello legale.
Nel caso della Monarchia, della quale opera e appena uscita una prestigiosa nuova edizione (1), e del suo contesto di riferimento, certamente europeo, torniamo a ribadire il vigore d'impatto che essa ebbe nel proporre in Italia, a posteriori, una riflessione su questioni che, dopo Federico II, erano tornate a vivere oltralpe, in Germania, in Francia, in Inghilterra in ragione dei problemi dinastici e nel merito della legittimita e dell'usurpazione del trono come pure in relazione alla definizione di tirannia. Scrive Le Goff che il re medievale ha dovuto superare un ostacolo, <<l'antico odio del popolo romano per il nomen regium. Quest'odio, scemato sotto l'Impero, sarebbe scomparso nella seconda meta del IV secolo quando l'influenza cristiana segna la volonta di assimilare rex ed imperator>> (2) nella figura di Cristo. Nel Medioevo l'evoluzione del potere imperiale e del potere pontificio serve a promuovere l'immagine del re e il suo potere rispetto alle due figure dell'imperatore e del papa.
La Monarchia segna una tappa importante della riflessione politica del tempo, sia per quanto concerne il monarca e l'Impero assimilati nell'iperonimo di <<unita di comando>>, sia per quanto concerne l'idea che esista il diritto di un popolo a rappresentare quello che, con parole eretiche, potremmo definire l'intelletto possibile o piu semplicemente il genere umano nell'espressione somma della sua razionalita (3).
Un diritto quello della <<rappresentanza>> del genere umano, al quale consegue il diritto alla cessione esemplare della <<sovranita popolare>> nelle mani di un solo principe da parte di quello stesso popolo, sulla base della lex regia, e dal quale discende la legittimita di questo impero fronte alla legge (de iure) e di fronte alla giustizia di Dio che ha realizzato in quell'impero...